Arrivai a Salò sul finire di un’estate, di lì a poco avrei compiuto sei anni. Scelsero l’occasione del trasferimento per togliere le rotelline dalla mia Graziellina verde e ben presto imparai a stare in equilibrio. I primi momenti erano davvero incerti, mi bastava una distrazione per finire in terra.
Poi, però, divenne il mio gioco preferito, con essa avevo scoperto libertà ed indipendenza. La mamma, infatti, mi lasciava scorrazzare, oltre che nel giardino della nuova casa, anche in strada, con la promessa che non andassi su quella principale in cui il traffico era già considerevole. Non ho mai infranto quella promessa, nelle vie del nostro villaggio avevo spazio sufficiente per esprimermi. Tre strade parallele che incrociavano a 90 ° due strade parallele mi davano varie possibilità di scelta.
Durante l’estate successiva avevo anche disegnato, su un cartellone, i vari tragitti che potevo percorrere. Il cartellone era “abilmente” nascosto sulla mia scrivania, sotto alcuni cartoncini colorati. Erano i miei “giri” segreti -come li chiamavo io- e non potevo permettere a nessuno di scoprirli e di impedirmi poi di percorrerli! Temevo, infatti, che la mamma si rendesse conto che mi spingevo troppo lontano, anche se rimanevo diligentemente nel villaggio. Quello che ancora non sapevo, era che c’erano almeno due occhi che mi tenevano ben controllata!
La signora Gallo abitava in una casa singola, lungo la prima traversa rispetto alla mia via. Doveva essersi accorta, ormai, che non avevo molte nozioni di sicurezza stradale… Io credevo di essere in un luogo tranquillo e protetto perché non mi era mai capitato niente. Fatto sta che, quando partivo da casa, mi lanciavo lungo la discesa della mia via e poi, a tutta velocità, mettevo in piega la bici per fare la curva, non badando minimamente al fatto che entravo in una strada a doppio senso. Uno dei miei giochi preferiti era vedere fin dove riuscivo ad arrivare senza pedalare dopo essermi rialzata dalla “piega”. Quindi durante la discesa spingevo sui pedali cercando di acquisire sempre più velocità. Un giorno la signora Gallo deve aver incontrato la mamma e deve averle raccontato le mie spericolatezze. Ricevetti una ramanzina super da lei e, la sera, una doppia ramanzina extra da mio papà. Lui interveniva solo nei casi gravi, quindi capii che era davvero una cosa importante. Successivamente cominciai a stare più attenta, ma continuai comunque a sperimentare.
Per esempio: perché quando curvo a destra e piego la bici, istintivamente tengo il pedale destro in alto? Avevo già una risposta teorica, ma volli comunque verificare. Magari c’era comunque del margine. Magari rimaneva spazio a sufficienza tra l’asfalto e il piede. La prima volta che provai non ce la feci. Istintivamente il pedale tornava su. Allora mi impegnai di più e mi sforzai di mantenere giù il piede destro. Quando sentii il pedale che toccava terra, capii la stupidaggine che avevo fatto. La biciclettina saltò e io con lei. Mi ritrovai in terra in mezzo alla strada, mi rimisi velocemente in sella e scappai via, incurante delle contusioni e delle abrasioni. Anche se non ero davanti alla casa della signora Gallo, sapevo che forse anche la signora Larcher o il signor Apollonio o il Cente o la signora Sgarbi o chissà chi altri avrebbero potuto fare la spia!
Nonostante tutti questi occhi lunghi, durante quella mitica estate ne combinai un’altra degna di nota.
Dato che avevo capito che non conveniva farsi vedere dalla signora Gallo o da qualcun altro, invece di svoltare alla prima traversa svoltavo a quella successiva. Così, tra l’altro, acquisivo più velocità! Anche questa volta avrei appreso una lezione importante. Scesi a tutta velocità dalla mia casa fino a poco prima della seconda traversa. Allargai e mi misi in piega e poi… Nella traversa c’era parcheggiato un grosso camion ed era proprio lungo la mia traiettoria! Mentre ero ancora in piega, frenai con entrambi i freni, le ruote si bloccarono e mi ritrovai a scivolare sotto l’autocarro. Non appena riaprii gli occhi, mi trascinai velocemente fuori e trascinai con me la biciclettina. Lei era in ordine, io un pò meno. Avevo un’abrasione su una gamba che poteva essere giustificata dalla mia solita esuberanza ad utilizzare la due ruote, ma ne avevo un’altra sul braccio che non sapevo come spiegare. Mi capitava spesso di ferirmi alle gambe, ma non mi era mai successo alle braccia. Ed essendo in estate, le maniche corte non aiutavano a tenere il segreto.
Riuscii a mantenere nascosta la mia prodezza per un giorno, poi la mamma si accorse…
- Cos’hai fatto lì?
- Dove?
- Lì sul braccio!
- Sono caduta…
- Come?
- Con la bicicletta…
- Ma come hai fatto?
La mamma cominciava ad alterarsi e io sapevo di non poter reggere il suo sguardo indagatore. Confessai. Confessai e fui messa in punizione, niente bici per una settimana, cioè per una vita intera!
Quando ritornai in sella mi feci più prudente. Mi piaceva troppo questa mia indipendenza. Spesso, dopo cena, chiedevo di portare il sacchetto dello sporco al cassonetto, così da poter fare ancora un giro prima di andare a letto.
Ormai l’estate volgeva al termine e la biciclettina cominciava ad essere troppo piccola.
Quante avventure, però! Non male per una piccola Graziellina verde!
che bei tempi ♥ con malinconia ed un pizzico di tristezza (perchè adesso sn cose impensabili da fare su strada!) ripenso alle mie scorribande in bicicletta, quante emozioni!
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