20/10/2020

Sono le dieci e mezza di sera. Esco a portare la carta per la raccolta differenziata di domani. Nuovamente fuori c’è il silenzio assoluto. Mi sento catapultata indietro di sette mesi, con la differenza che non si sentono nemmeno le sirene delle ambulanze. Non c’è un alito di vento e il paesaggio, immerso in una tenue nebbiolina, è tanto immobile quanto silenzioso. Sembra finto. Il mio concetto di luogo silenzioso è sempre stato legato all’essere da soli nella natura, lontano da insediamenti umani e lontano dagli stessi umani. Ma la natura non è un luogo privo di rumori, in sottofondo si è sempre accompagnati dal respiro del bosco, dalla danza dell’aria e, a volte, dallo scapicollarsi dell’acqua attraverso luoghi più o meno scoscesi. Come minimo. Se ci si muove c’è anche lo scricchiolio dei sassi e il crepitio dei rami secchi sotto gli scarponi. Ho sempre pensato che questo fosse il silenzio. Qui invece sembra di essere in una bolla o in un film di fantascienza. L’assenza totale di suoni mi inquieta. Mi riporta indietro ai due mesi e mezzo passati quasi esclusivamente in casa, ma con la differenza che ora davanti a noi i mesi di isolamento – o di forti limitazioni alla libertà personale – potrebbero essere sei.

Oggi con la vicina di casa si scherzava sul fatto che potremmo quasi considerarci dei congiunti e quindi invitarci a turno a cena, così, per fare due chiacchiere e stare un po’ in compagnia. Ora mi chiedo se questa idea rimarrà una battuta scherzosa o diventerà un’ancora di salvezza per non diventare sociofobici.