Undici rintocchi e mezzo

Undici rintocchi e mezzo.  Il suono metallico si fa strada nell’aria densa e immota della serata estiva.  Echeggia lontano, ma riesce comunque ad essere trasportato fin qui, sovrastando il continuo frinire in sottofondo e uno strano verso prodotto da una coppia di rapaci che alloggiano di fronte alla mia finestra.

Undici rintocchi e mezzo che hanno lo stesso suono di quelli -il numero ormai l’ho dimenticato- che si facevano strada attraverso un sentiero sterrato avvolto nel buio e nel bosco.  Il paese era lontano, alle nostre spalle.  Era quasi una settimana che dormivamo per terra, sul pavimento dell’asilo nido chiuso per le vacanze estive.  Il sacco a pelo separato dalle piastrelle tramite un sottile materassino di quelli arrotolabili.  Niente cuscino e lo zaino -che conteneva tutto quello che poteva servire per una settimana di accampamento- al di sopra della testa.  I componenti di ogni sestiglia dormivano affiancati, pronti a scattare sull’attenti se veniva richiesto.  E quella notte ci avevano “sbrandato” (si fa per dire perché manco ce l’avevamo la branda!) quando ormai dormivamo da un pezzo.  Tutti in piedi, mettersi la divisa, allacciarsi gli scarponi e raggrupparsi fuori.  Ognuno con la propria torcia in mano.  Non so se i capi e i vice delle sestiglie sapessero qualcosa.  Nel caso recitarono molto bene.

Ci fecero partire scaglionati, una sestiglia dopo l’altra.  Non ricordo quale motivazione ci avessero dato o se semplicemente -si fa per dire- fosse una prova di coraggio.  Fatto sta che dovevamo raggiungere un casolare che stava nel bosco a circa mezz’ora di cammino da lì e che durante l’ultima settimana avevamo utilizzato qualche volta per le nostre attività.  Il luogo ci era noto, ora ci era stato affidato il compito di raggiungerlo in autonomia.  Di notte.  Al buio più totale, se si escludevano le nostre torce elettriche.  Il paesino di montagna, infatti, contava pochissime case e l’asilo era uno degli ultimi edifici.  Poi c’era il bosco.  E i pendii.  Si faceva fatica a trovare un fazzoletto di terra piano.  Avevamo dovuto sistemare la base della nostra sestiglia su una discesa impervia dove non avevamo nemmeno la possibilità di sederci.

Ci diedero il via e partimmo.  Avevo i sensi all’erta e provavo un misto di paura e di incredulità.  Possibile che ci facessero correre dei veri pericoli?  Possibile, possibile.  E alla veneranda età di nove anni -con due anni di esperienza alle spalle- avrei dovuto saperlo.  Ogni rumore mi faceva rizzare i capelli e avevo i brividi, anche per il freddo.  A un certo punto ci venne incontro qualcuno.  Tornavano indietro perché le guide avevano disseminato il percorso con degli scherzi, delle trappole.  E così in due avevano abbandonato la sestiglia e stavano tornando al campo base.  Noi volevamo stare unite.  Non avremmo superato la prova se non fossimo state unite.  Dovevamo arrivare insieme.  Alcune bambine del mio gruppo si facevano prendere dall’isteria.  E non era una cosa buona.  Io, nonostante tutto, esibivo un certo sangue freddo, ben sapendo che lasciarsi andare alle fantasie non era salutare.  Ma ovviamente avevo paura.  Quali erano quelle trappole terribili che avevano smembrato una sestiglia?  Ce l’avremmo fatta a restare insieme?

Ricordo una corda tirata di traverso al sentiero e a terra delle indicazioni, dei segnali, fatti con sassi, legnetti, pigne.  Non ricordo molto altro se non la cosa più spaventosa.

Ad un certo punto un uomo senza testa sbucò sul sentiero urlando come un matto!  Noi scappammo in avanti e quindi superammo anche quella prova.  L’uomo era una delle guide che, per l’occasione, si era incappucciato e sembrava decapitato.

Raggiungemmo infine il casolare.  C’erano già parecchi lupetti e coccinelle.  E le altre guide.  Non essendo tra i primi, per la nostra impresa ricevemmo un riconoscimento molto blando.  Come al solito una gran soddisfazione…  E pensare che c’erano quelli che venivano sempre incoraggiati e premiati.  Un altro motivo che non mi faceva apprezzare l’appartenenza al gruppo.

Una volta che arrivarono tutti (anche i finti fifoni incontrati sul sentiero che scoprimmo a quel punto che erano d’accordo con le guide e facevano parte degli “scherzi disseminati lungo il percorso”) la nottata non era ancora finita.  Ci attendeva il gioco dello scalpo.  Via i fazzoletti dal collo, infilarseli nella tasca posteriore dei pantaloncini o delle gonne-pantalone e poi, tutti contro tutti, cercare di difendere il proprio e di rubare contemporaneamente quello dell’avversario.  Vinse un maschio, un lupetto.  Io fui tra le prime a perdere, ma la cosa non mi interessava.  Era notte fonda e volevo tornare a dormire ben consapevole che l’indomani avremmo dovuto comunque presenziare all’alzabandiera.

Non si tornò indietro prima di aver cantato una canzone e recitato una preghiera, perché eravamo scout e gli scout sono coraggiosi, tenaci, leali e credenti!  E anche insonni, se necessario.

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Il fazzolettone – ©attornoallago

 

15 pensieri su “Undici rintocchi e mezzo

      1. It’s definitely not perfect but since I can’t speak Italian it works a lot better. I have learned using the translator that words have to be added while reading, or sometimes rearranged, but it’s better than nothing. The same works for someone trying to translate my posts into another language, it doesn’t come out very good. Of course I could only really check French. But it’s helpful anyway.😂😁

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      2. Yes, it’s very helpful because it brings people togheter wherever they are in the world. And this is not a small thing!
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