Ritorno a Riccione

Ieri, 29.08.1977

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Oggi, 19.08.2015

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Tutto è ancora così riconoscibile che mi aspetto di vedere mia nonna che esce dall’hotel Capitol e imbocca la strada per il mare.

Oggi l’hotel Capitol non c’è più. La strada sì.  Lunga forse 500 m, che per me erano interminabili, attraversa un parco pubblico che nei miei ricordi era più simile ad una foresta.  Dopo questa faticosissima passeggiata si arrivava al Bagno Fernando, il 122/a, caratterizzato dai colori verde e bianco e da poco altro: qualche sabbiatura e rare partite a bocce.

Fernando, accento romagnolo spiccatissimo, poco più giovane di mia nonna, alto, muscoloso e sempre nero come il carbone attendeva all’ingresso. Sempre affabile con gli adulti e pronto a sgridare i bambini che non si comportavano come voleva lui.  Alla fine della giornata rastrellava tutta la “sua” spiaggia per livellare le buche, per recuperare gli oggetti smarriti e per pulirla dall’immondizia.  Oggi i bagni hanno minimo dieci addetti, ma nessuno fa più questo lavoro.

Fernando era il capo indiscusso del suo piccolo demanio: non potevi scavare una buca, lanciare sabbia o sconfinare senza che lui se ne accorgesse e ti facesse una ramanzina. Quando era di ronda bisognava far finta di prendere il sole.  I palloni, ovviamente, erano vietatissimi!

Una delle cose che mi incuriosiva di più era il numero incredibilmente esagerato di uomini sulla sessantina che erano senza un braccio. All’epoca mi era stato detto che avevano perso il braccio durante la seconda guerra mondiale.  Chiaramente non mi rendevo ancora conto delle proporzioni di una guerra mondiale e mi chiedevo come mai tutti quei signori che avevano perso il braccio in guerra venissero proprio al bagno Fernando.  Un vero mistero.

La spiaggia era abitata da un sacco di persone anziane e dai bambini (i nipoti, presumibilmente). I genitori, chissà, o stavano a casa a lavorare oppure passavano le notti in discoteca come i miei e non si facevano vedere prima delle 17…

Poi c’erano i Tedeschi. Per mia nonna tutti gli stranieri erano “Tedeschi”, forse perché non conosceva le lingue e gli unici stranieri di cui aveva sentito parlare (a parte gli Americani che di certo non venivano a Riccione!) erano i Tedeschi.

Gli uomini con la pettinatura alla MacGyver e con il completino canottiera/pantaloncini della Boss (acquistato direttamente in spiaggia da qualche vu cumprà) che a volte continuavano a indossare anche di sera. Le donne bionde, di una certa stazza e che ridevano sguaiatamente.  In albergo, dopo la cena, formavano tavolate -rigorosamente tra di loro- per giocare a carte.  Ricordo che un anno sulle loro tavole comparve un giochino, un pupazzetto a forma di gnomo alto circa 20 cm.  Tutti zitti, un pò si guardavano e un pò scrutavano il pupazzo, fino a quando questo cominciava a riprodurre delle risate.  Ben presto ridevano tutti a crepapelle e continuavano per dei minuti interminabili.  Quanto mi sarebbe piaciuto giocarci con la nonna!  Non ho mai sputo cosa fosse o come si chiamasse e non l’ho mai più visto.

Per me, dopo la cena e in attesa della passeggiata serale, c’era la corsa per accaparrarsi il dondolo. Era l’unica cosa divertente dell’hotel.  Il primo giorno di vacanza uscivo dall’automobile per salire immediatamente sul dondolo e l’ultimo giorno dovevano farmi scendere a forza.  Lo facevo volare come se fosse stato un’altalena e venivo immancabilmente redarguita.

Non c’era la TV nelle camere e non c’era nemmeno una sala-TV. C’era una minuscola televisioncina nella zona del bar e veniva accesa solo in caso di notizie veramente gravi o per guardare le previsioni del tempo.  Nessuno sentiva la necessità di svagarsi guardando la televisione, gli adulti chiacchieravano o giocavano a carte, i bambini giocavano con quello che c’era (quasi niente) e poi si facevano tante passeggiate.

Passeggiate di giorno e passeggiate di sera.

Quelle serali erano le mie preferite. Non faceva più tanto caldo e a 50 m dall’albergo c’era l’appuntamento con la sala giochi.  Ho scoperto, con mio sommo stupore, che è ancora aperta, gestita dalla stessa persona e… con le stesse giostre con cui giocavo io!  Portare mio figlio sullo stesso cavallo, sulla stella macchina, sulla stessa moto, sullo stesso treno, sulla stessa astronave su cui andavo io da bambina è stata una sensazione incredibile.  Tutto è rimasto come allora e tutto è cambiato.  Il gestore stanco e senza più entusiasmo, i giochi mezzi rotti e riparati in qualche modo, pochissimi i bambini e i ragazzini che vi accedono.  Un cartello con la scritta “vendesi” e un numero di cellulare completano il quadro.

Caro signore, è stato bello tornare per un attimo bambina e riscoprire un pezzo della mia storia. Grazie di avermi aspettata per questi trent’anni!

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